| Peccato che sia una sgualdrina Un fratello ama incestuosamente sua sorella. L'ama con tutto se stesso, come del resto lei. Quello che li spinge è la volontà totalizzante di fare di due uno, contro tutto e contro tutti, costi quel che costi. Sono tempi duri, difficili, violenti quelli che Giovanni e Annabella vivono a Parma: grandi passioni, grandi odi, intrighi, uccisioni, colpi di mano, tradimenti. Fino al sacrificio finale: Annabella, che è incinta, viene uccisa dal fratello che ne mostra il cuore grondante di sangue al banchetto nuziale nel giorno in cui va sposa all'uomo che il padre ha scelto per lei.
Capolavoro di John Ford, figura di punta di quel cinquecentesco teatro elisabettiano grottesco e violento, mortuario e feroce, all'interno del quale si è formato anche Shakespeare, Peccato che sia una sgualdrina non è sicuramente un testo facile da rappresentare, anzi, richiede uno scatto di fantasia non fine a se stesso ma in grado di mettersi in sintonia con la scrittura senza freni dell'autore.
Potendo usare della bella e ficcante traduzione di Enrico Groppali, il regista Luca De Fusco ha messo in scena il testo di Ford come una sacra e, allo stesso tempo, blasfema rappresentazione il cui composto svolgersi viene rotto, sconciato con violenza dall'incalzare impietoso degli avvenimenti. La scenografia di Antonio Fiorentino esalta e movimenta, nella riproposizione della scena elisabettiana a due piani, l'andamento a scatti ora ricco di movimento ora legato a una drammatica fissità che sono i due estremi ai quali ricondurre questo spettacolo che De Fusco immerge, di volta in volta, nell'oscurità più cupa in cui maturano i delitti e le violenze, oppure in un chiarore abbagliante che circonda come un'aura i giovani amanti. Mondo che si riflette nella sua stessa struttura, mondo corrotto e corruttore che si duplica o triplica nei destini possibili pensati per i protagonisti, fino a quando tutto non si conclude nel sacrificio della giovane Annabella, Peccato che sia una sgualdrina è un esempio di teatro della crudeltà affascinante, amorale quanto basta per non giudicare, se non come tragica fatalità, l'incesto fra i due fratelli.
Fra adulti che pensano di potere decidere della vita e della felicità dei figli, sui quali credono di avere un potere assoluto, preti condiscendenti, nutrici manutengole, servi intriganti, mogli pronte a tradire, giovani pronti a battersi fino all'ultimo colpo di spada, talmente inesperti da essere vittime della loro ingenua stupidità, il testo di Ford si esalta spesso in scene madri che De Fusco mette giustamente in primo piano, affidandole agli interpreti di una compagnia diseguale dove spiccano l'irruenza giovanile di Giovanni (Stefano Scandaletti), la determinazione "adulta" dell'Annabella di Gaia Aprea, la gelosia maritale del Soranzo di Max Malatesta, la petulanza di Anita Bartolucci (Putana), la doppiezza di Alvia Reale che è Ippolita, l'ingenuità stupida di Bergetto (Giovanna Mangiù), inutile vittima sacrificale. Lo spettacolo si chiude proprio come era iniziato: con una specie di processione, quasi una sfilata di anime perse.
ecco sono state fatte diverse rivvisitazioni di quest'opera nel corso degli anni....
l'ultima rivisitazione è in corso in teatro proprio in questi mesi....ovviamente con altri attori....
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