LA CALIFFA

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valentinap
view post Posted on 8/10/2008, 12:46




anche questo mi sembra che non ci sia, a me no che ho le travecole :lol:

La Califfa è una giovane vedova che lavora come operaia in una grande fabbrica del Nord, di cui è padrone Doberdò. La donna è una accesa rappresentante della lotta operaia ed ha dei violenti scontri con il padrone. Questi (ex operaio che ha fatto la «gavetta») spinto dal suicidio di un amico industriale, ne rileva la fabbrica cogestendola con gli operai ed inizia ad interessarsi più da vicino ai loro problemi. Inevitabilmente, attratti uno all'altra dalla reciproca ruvida schiettezza, Doberdò e la Califfa finiscono col diventare amanti, nonostante i disperati tentativi della moglie dell'industriale di tenerlo a sé. Frattanto la politica di avvicinamento di Doberdò verso i lavoratori gli procura prima l'irritazione e poi l'odio dell'Unione degli Industriali della Regione i quali ammoniscono l'ormai ex amico a desistere dalle sue iniziative. Doberdò non accetta imposizioni e in tal modo firma la sua condanna: viene preso a fucilate e trascinato a morire dinanzi alla sua fabbrica.

La Califfa è una delle prime produzioni cinematografiche che risentono dell’ "autunno caldo" sindacale. Nella figura dell’industriale vengono proiettati molte delle caratteristiche che il sindacato vorrebbe trovare nella controparte. Anche se ciò, soprattutto considerando le posizioni ed il dibattito di quel periodo, sa un po’ di utopia. Questo ex operaio che non ha timore di scontrarsi con gli altri industriali, che rileva una fabbrica per cogestirla con le maestranze e si confronta con i dipendenti in sciopero infatti rispecchia una cultura illuminata che non caratterizzava certamente la stragrande maggioranza dei "padroni" (fatte naturalmente le debite eccezioni spesso incomprese da ambedue le parti). Il film ha comunque successo e trasmette l’idea di una alternativa riformista in un periodo nel quale le tensioni sono alte.

La critica

Ricorderete La Califfa, il romanzo che anni fa schiuse ad Alberto Bevilacqua la gran via del successo. L’edizione cinematografica offertane ora dall’autore, all’esordio nella regia (un altro caso di sfiducia nella parola scritta?), ne raccoglie fedelmente il senso, ma in una cornice aggiornata che consente a Bevilacqua di esprimere un accorato rifiuto dei nostri tempi, fatti ancor più calamitosi dalla ferocia delle lotte sindacali. La Califfa, infatti, non attesta soltanto il rischio di certi connubi socio-politici: a un livello più segreto, dichiara che oggi l’essere umano, a qualsiasi ceto appartenga, è destinato alla sconfitta, perché non sa più ascoltare la voce dell’anima. Viviamo nel caos, e ogni tentativo di raddrizzarlo predicando la pace ha come sbocco la morte o il vuoto dell’anima, per l’ottima ragione che siamo tutti abitati dall’equivoco, e anche nel sottofondo dei nostri gesti più spontanei c’è il tarlo dell’ambiguità, che ci rode e distrugge. Per salvarsi, bisogna intanto rendersi conto che viviamo in un inferno. Ne dà conferma la storia di Doberdò, un industriale di provincia fattosi dal nulla, e di una sua giovane operaia alla quale, durante uno scontro con la polizia, hanno ucciso il marito. All’inizio, quando la fabbrica di Doberdò è in sciopero, la donna è in prima fila nella protesta contro il padrone: fanatica e spavalda, non esita a sputargli addosso e a compiere atti di sabotaggio contro i macchinari. Di fronte all’atteggiamento del boss, il quale tiene testa agli operai e ai propri colleghi imprenditori che hanno indotto un industriale fallito a impiegarsi, la rivale però si ricrede. Accade addirittura che fra i due nasca una robusta passione, e che l’uomo, ringiovanito dalla Califfa (in certe zone della Padania così chiamano le donne intraprendenti e spregiudicate), sembri ritrovare le proprie schiette radici proletarie, giungendo perfino a proporre nuove forme di gestione aziendale. Poiché gli altri industriali della zona non gli perdonano la collusione coi sindacati, finisce che qualcuno manda due sicari ad ammazzarlo. Ciò non vuoi dire che Doberdò debba essere compianto come un padrone illuminato e umanitario fatto fuori dai concorrenti, alleati con gli agitatori più facinorosi nell’esaltare la violenza criminale. Infatti il senso del film sta per noi nel sospetto che sia l’uomo sia la donna, più che recuperare i dubbi di coscienza, abbiano giocato a nascondino con se stessi e col partner, per vincersi a vicenda e insieme per illudersi di superare con l’amore e la pienezza dei sensi la propria solitudine. Il tragico epilogo, allora, sigilla una lotta contro le ombre che stanno scendendo sul nostro marcio mondo e minacciano di soffocare il calore dei cuori. È difficile dire se Alberto Bevilacqua, per denunciare la crisi della società contemporanea (e con ciò proporre l’urgenza d’una bonifica) volesse proprio arrivare a questo sconfortante traguardo, ma è probabile che così il pubblico interpreti un film in cui i personaggi si muovono spesso sul filo di rasoio di un disperato ma sepolto sarcasmo, che nemmeno le scene più calde d’erotismo riescono a deviare… La Califfa ha difetti (non tutti i frammenti si compongono in mosaico, la musica di Morricone enfatizza e distorce molti momenti riflessivi), ma largamente compensati da una maturità espressiva non consueta in un regista esordiente: si badi all’evidenza con cui il simbolo prevale sul verosimile, all’efficacia dei caratteri di contorno, alla costanza del rapporto fra la sfida dei protagonisti e il coro della folla (operai e polizia), all’attenzione prestata agli intrighi dei potenti. Il linguaggio di Bevilacqua è rapido e asciutto. Probabilmente l’esperienza cinematografica gioverà al narratore, abbreviando la distanza dalle cose. Né gli attori lasciano a desiderare: l’interpretazione seria e composta di Ugo Tognazzi è eccellente, anche considerata la difficoltà della parte, e Romy Schneider è molto brava nel disegnare il carattere d’una «califfa» dolente e appassionata (semmai un po’ troppo elegante, e troppo incline a esibire il suo nudo). Ottima la fotografia a colori di Roberto Gerardi. (Giovanni Grazzini, Corriere della Sera)

Ciò che invece del film è veramente interessante e de-mistifica definitivamente il pensiero ambiguo dell'autore è il significato più sotterraneo e sfuggente del rapporto tra Doberdò e la Califfa. Intanto la donna è collocata nel tipo di pasionaria operaia, vedova di un operaio sindacalista, all'inizio fiera avversatrice del padrone: è la prima nei cortei, non esita a sputare sull'auto di Doberdò, incita senza paura i compagni alla lotta, ecc. Però una simile donna non può essere "soltanto" un'operaia come tante. Ella ha un destino superiore. Nella psicologia di Bevilacqua è, come minimo, una donna degna d'un capo, e il capo può essere solo il padrone della fabbrica. Con gli operai i suoi rapporti sono solo viscerali e carnali (il suo amante è un giovane meccanico, emerito stallone, ma povero e dal cervello assai limitato), il suo spirito non potendo che essere di un potente in tutti i sensi: Doberdò appunto. E tra lei e Doberdò si stabilisce questa corrente «superiore» di odio, odio-amore, amore. C'è tutta una letteratura, da Cenerentola in poi, sul fascino irresistibile che il povero subisce dall'uomo ricco (e Bevilacqua non ne deflette anche se vorrebbe far credere il contrario) e sul volgersi benevolo del ricco verso il povero dotato di bellezza o di ingegno. In genere il povero (se donna) riscatterebbe la sua origine con una innata grazia e semplicità, se non con la finale scoperta addirittura di nobili ascendenze. Insomma: una zoticona mai con un Doberdò! (E invece qui sarebbe proprio da discuterne). Una volta scoperta la propria vocazione di compagno del capo il povero (la Califfa) si butta con tutta l'anima dalla sua parte, si mette contro i suoi vecchi compagni e usa la sua forza di persuasione per convincerli che il capo ha cambiato mentalità ed è dalla loro parte. Insomma è un capo buono che credevano cattivo. (Mario Abati, Cineforum)

Bella e fiera vedova di un operaio ucciso dalla polizia durante una manifestazione s'innamora del suo nemico di classe, il padrone della ditta in cui lavora. La sorpresa di questa commedia a sfondo sociale è un Tognazzi che dà prova della sua inesauribile versatilità di attore straordinariamente padrone delle sue reazioni e dei suoi toni. Come operaia, R. Schneider convince meno. Il fico migliore nel bigoncio di Bevilacqua da Parma. (M. Morandini)



locandina:





in questo film ci sono delle scene di nudo, in cui anche se sono una donna e non me ne intendo come gli uomini, ammetto che romy ha un gran bel fondo schiena :lol:



mi piace molto la scena in cui lei è davanti ad un grosso macchinario, nelle fonderie di parma, e la telecamera inquadra il suo viso, zummando sugli occhi, azzurri e profondissimi.....
alberto bevilaqua dirà che romy in quella scena fù meravigliosa, per il semplice fatto che all'interno di quell'enorme capannone d'estate soprattutto c'erano oltre 40 gradi, ma romy fu perfetta senza neanche una goccia di sudore....

 
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LittleLizzie
view post Posted on 11/10/2008, 19:51




non so se c'è già questa discussione adesso guardo
 
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LittleLizzie
view post Posted on 16/10/2008, 17:19




molto belle grazie
 
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valentinap
view post Posted on 23/10/2008, 12:28




Una bellezza chiamata Califfa. E fu subito scandalo
Nel romanzo che rivelò Bevilacqua l' amore fra una popolana e un industriale

«La Califfa sono io», ci sussurra da qualche parte la voce dell' autore, per tutta la durata di questo romanzo. E noi, rileggendolo, dobbiamo ammettere che sì, è vero, la Califfa è Alberto Bevilacqua nello stesso senso in cui madame Bovary era Flaubert, cioè una fonte viva d' ispirazione, una maniera di spiegare il mondo. Infatti la Califfa della favola, al secolo Irene Corsini da Parma, è esistita davvero, sebbene un po' prima di fine anni Cinquanta, l' epoca in cui è ambientata la storia; e Bevilacqua l' ha incontrata almeno nel senso spirituale del termine, nascendo come lei nella piccola capitale europea che ispirò Dickens, Stendhal e Valery Larbaud, respirando l' atmosfera popolare e geniale del quartiere oltretorrente dove imparò a dipingere il Parmigianino e Toscanini bambino venne folgorato per la prima volta dalla rivelazione delle note. Inoltre, la figura della Califfa introduce al mondo letterario di Bevilacqua, nel ' 64 ancora agli albori, e anticipa il senso stesso della vita che si mostrerà nelle sue opere successive: un misto di ingenuità e coraggio, femminilità e passione, fede e volgarità popolana successivamente fissati, agli occhi del pubblico, nel bel volto di Romy Schneider diretta ancora da Bevilacqua nel film che ne fu tratto. Eppure, non tutto è Califfa ne La Califfa: perché il personaggio che vi conosce l' evoluzione drammatica più forte è l' uomo che di lei s' innamora, l' industriale Annibale Doberdò, cui nel film presta il volto Ugo Tognazzi. Sessantenne, padrone economico della città con il suo complesso di fabbriche e di aderenze politiche, ma dominato dalla moglie invalida e tirannica, deluso dal figlio senza nerbo, costretto a consumare gli anni nella gabbia dorata e solitaria del potere, assiste all' entrata in scena della Califfa prima come a un' apparizione, poi a una rivelazione. Proprio lui, burattinaio e burattino, schiavo e padrone di una città intera, sacerdote e vittima dei suoi riti economici e politici, si trasforma rapidamente in un «uomo in rivolta». Grazie alla Califfa, per dirla con Nietzsche, diventa quello che è. Un uomo vero, appassionato, disposto a mettere in gioco persino la sua stessa esistenza, nonostante la salute malferma, per andare sino in fondo, portando alle estreme conseguenze la storia d' amore con la bella Irene. Ma prima che si arrivi a tanto, si deve assistere al dipanarsi di tutta la vicenda, affidata in parte all' io autobiografico della stessa Califfa, e in parte all' io narrante impersonale dell' autore, che ha una funzione di coro e contrappunto. Veniamo a sapere che Irene Corsini è una «slandra», molto più di una prostituta pur essendo di liberi costumi, piuttosto una specie di potenziale «rezdora» padana, quel tipo umano capace di essere anima e animatrice di grandi famiglie emiliane allargate, di tre o quattro generazioni. Il guaio della Califfa, il suo destino amaro, è d' essere nata nell' altra Parma, quella popolare oltretorrente, contrapposta alla città nuova del boom economico e dell' opulenza. Dunque, non potrà mai essere «rezdora»: non ha avuto o voluto un marito rispettabile con un lavoro fisso, dal momento che Guido, da lei sposato per amore, si rivela un ex partigiano generoso ma velleitario. Il figlio che ha avuto da Guido morirà presto, soprattutto perché lei, già vedova, non possiede i mezzi per curarlo. E la virtù se ne andrà presto anch' essa, dal momento che la bellezza di Irene attira i dongiovanni, i perditempo e i giocatori di calcio da periferia, più che i giovanotti con testa a posto e voglia d' accasarsi. È così che si diventa «slandra», spiega con lo scorrere delle pagine la voce impersonale del narratore: piano piano le amicizie si restringono (alla Califfa rimane quella di un' altra «slandra» meno bella di lei ma fedele, chiamata Viola); le visite nella città nuova si diradano, e si finisce per rimanere definitivamente tra le mura dell' altra Parma, quella delle botteghe senza fabbriche e delle casupole senza palazzi. Di solito succede appunto così, ma in tutto questo non c' è niente di infamante: qui, oltretorrente, fin dai tempi di Maria Luisa d' Austria scorre un sangue musicale e artistico, da bohème; qui gli squadristi di Balbo subirono la loro unica sconfitta in campo aperto per mano del piccolo orologiaio antifascista Guido Picelli; e qui se vogliamo, nacque la madre dello stesso Alberto Bevilacqua, che da ragazza si chiamava Cantadori, discendendo appunto da una famiglia di musicisti provenienti dalla Spagna. Ecco perché Viola, la popolana amica della Califfa, le offre l' occasione di presentarsi a teatro abbigliata da gran dama: da lì, inevitabilmente, si metterà in moto la fatale catena delle conseguenze che trascinerà nell' avventura l' inconsapevole (ma solo all' inizio) industriale Doberdò. La relazione fra l' industriale sposato e la «slandra» è in essenza una sfida alla città. Tanto è vero che, per rappresentarla, l' enfant prodige Bevilacqua (scrisse questo romanzo a 23 anni e lo vide deflagrare nel cielo letterario di colpo, dal Giappone alla Turchia, senza una riga di pubblicità) deve ambientarla in una «terza Parma», lontana sia dai palazzi che dalle casupole: la Parma della campagna, dei luoghi bui ed erbosi dove si impara a conoscere il valore della vita. In quell' erba sboccia l' amore fra Doberdò e la Califfa, la decisione scandalosa di mettersi insieme e il fatto compiuto, la rottura con l' ordine costituito che soltanto la morte di lui, per infarto, potrà impedire. È come se, fino a quel momento, la Parma dipinta da Bevilacqua avesse posseduto soltanto due colori, il nero e il rosso. Nere, o grigie, le tonache dei preti ligi alle autorità, le camicie dei fascisti, le grisaglie degli industriali; rossa l' altra parte, quella della povertà e delle rivolte. Ma nel punto in cui la Califfa e Doberdò s' incontrano, la violenza della scossa rimescola i cromatismi. La passione somiglia a una bandiera arcobaleno sventolata sotto il naso di tutti. E la rivolta, istintiva nella Califfa e lucida in Doberdò, ha i tratti di un cristianesimo anarchico e vitalistico, una specie di diritto naturale e libertario alla felicità. Tanto che il testamento spirituale lasciato da Doberdò alla sua «slandra» trova nel paradosso la sua vera conferma: «L' importante è essere vivi, Califfa, vivi!».
 
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LittleLizzie
view post Posted on 29/10/2008, 14:19




bellissime
 
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LittleLizzie
view post Posted on 1/11/2008, 21:50




sono bellissime
 
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Laprincesse91
view post Posted on 27/11/2008, 21:43




In questo film era proprio meravigliosa...
 
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valentinap
view post Posted on 7/12/2008, 10:30












La prima foto di questa carrelata è favolosa, lei in quella scena entra in chiesa, si avvicina all'altare e guarda il crocefisso, ed il suo sguardo illuminato dalla candela che si trova davanti a lei le illumina il volto, e diviene di una bellezza che pare una visione.....bellissima in questo film, forse nella sua bellezza più perfetta......
 
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60 replies since 8/10/2008, 12:35   3514 views
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